RISCHIO E RESILIENZA. Sulla costruzione cognitiva, socio-culturale e politica della (in)sicurezza
Le parole “rischio” e “resilienza” che campeggiano nel frontespizio di questa rivista sono quelle che ricorrono con maggiore frequenza nelle pagine qui edite. Inizialmente appannaggio quasi esclusivo del bagaglio terminologico di alcune scienze, esse fanno ormai parte del lessico comune, fissando in maniera anche prepotente l’ordine del discorso su scala pressoché globale.
Nel quadro di uno spettro semantico decisamente ambiguo, esse tendono a forgiare politiche pubbliche che disciplinano azioni e comportamenti, insinuandosi violentemente nell’immaginario collettivo per scivolare impetuosamente nelle storie delle comunità e penetrare silenziosamente nei corpi dei singoli. “Rischio” e “resilienza”, risvolti indissolubili di un’unica medaglia, sebbene con denominazioni dissimili, in realtà hanno da sempre accompagnato l’esistenza umana, ponendosi quali elementi diffusi che le diverse epoche, nel quadro di specifici condizionamenti socio-culturali e politici, hanno provveduto a modellare.
Ogni civiltà, pertanto, è un sistema più o meno condiviso di ordine materiale e immateriale, comprensivo di conoscenze e di saperi, di tecniche e di abilità, di credenze e di simbologie, di norme e di valori, con cui gli uomini interpretano il mondo, agendo in esso, in bilico tra percezione del rischio e organizzazione della resilienza.
Le diverse dinamiche di elaborazione della crisi e di controllo della vulnerabilità (su questi aspetti si rinvia al primo numero di Risk Elaboration) affermatesi universalmente, ma declinate territorialmente, sono da intendersi quali strumenti impiegati in ogni dove per la configurazione di margini di vivibilità, con cui viene assicurata l’agibilità nel mondo, in un mondo reso umanamente significativo ed esperibile.
In ogni caso, tra un “qualcosa” che è irriducibilmente e tenacemente tale, tale di per sé, e un “qualcosa” che si definisce minaccioso, si colloca l’etnostrabismo, ovvero la focalizzazione selettiva degli uomini che percepiscono alcune cose occultandone altre, facendo in modo che soltanto una parte del cono visivo sia effettivamente osservabile. Focalizzazione selettiva che guida inoltre l’attitudine tassonomica degli uomini indirizzati incessantemente a classificare la realtà, redigendo mappature specifiche tese a distinguere tra sicurezza e insicurezza, tra ordine e disordine, tra normale ed extra- ordinario, secondo dinamiche dialettiche di reciproco riconoscimento.
Compete dunque a ciascun gruppo umano, ai suoi dispositivi di potere cognitivo e decisionale, trasformare qualcosa in qualcos’altro, lasciando emergere questo “qualcos’altro” quale polo del “regolare” piuttosto che dell’ “irregolare”, a prescindere che si tratti di un macro evento tellurico o atmosferico, di una micro entità chimica o biologica di dubbia connotazione ontologica, oppure di abnormi impianti di estrazione e trattamento degli idrocarburi, come quelli collocati in aree della Basilicata altamente antropizzate e ad altissima concentrazione di risorse ambientali (cfr. Rischio NaTech in Val d’Agri, in Risk Elaboration, anno I, n. 1, pp. 112-117).
Risk Elaboration. Strategie integrate per la resilienza, da una parte concorre allo smascheramento di quei fattori che minacciano la vita nelle sue diverse espressioni, ovvero alla de- latentizzazione degli elementi di pericolo, e dall’altra contribuisce alla messa a fuoco delle potenzialità e delle attitudini di contrasto, talvolta inconsapevoli e inespresse, che attengono all’adattamento.
Ogni comunità umana, dunque, nel quadro di particolari direttrici storiche e di specifici assetti sociopolitici, delinea per sé limiti concreti di normalità e, di conseguenza, di operatività. Ciò comporta, contestualmente, l’elaborazione di strategie di definizione e di controllo dell’anormalità e della crisi. Atteso che in tutti i tempi e in tutti i luoghi le comunità sono collocate in uno spazio fisico che per definizione è aperto, va da sé come i confini del circostante non siano perentori, e meno che mai scontati, ma di volta in volta tratteggiati, quindi suscettibili di essere rinegoziati. Ciò comporta la possibilità per gli uomini di avere un “tutt’intorno” che si colloca tra un “qui” e un “altrove” pressoché indefiniti, da cui deriva la possibilità di rappresentare il contesto di riferimento attraverso i risicati ettari del lussureggiante pianoro di abituale frequentazione piuttosto che con le linee tracciate dalla maestosa Via Lattea al di là dell’orizzonte.Nel mondo concretamente esperito possono figurare inevitabilmente elementi vicini e lontani, materiali e immateriali, umani e non- umani, la cui diversa combinazione presiede alla strutturazione semantica dell’ordine ecologico e socioculturale. Lo sguardo rivolto verso il basso per seguire le orme di una preda oppure verso l’alto per intercettare apparizioni divine, così come le orecchie attente a scrutare l’arrivo dei venti oppure prolungate per profetizzare il ritorno degli antenati, sono esempi di codici di umanizzazione che nel “luogo di vita” modellano il rapporto tra il “qui” e “l’altrove”, ovvero esempi di costruzioni culturali in cui all’ordine è intrinsecamente connaturato il rischio del disordine. E della crisi, che è anzitutto percezione di qualcosa di in-quieto che si fa, appunto, in-quietante. L’irruzione nel proprio territorio della tempesta fulminea che distrugge i raccolti, dell’epidemia e della fitopatologia che falcidiano senza rimedio creature e campi, della siccità invincibile e della canicola che tolgono il respiro, di diseducazioni capillari e di illegalità diffuse, sono possibilità che scuotono il paesaggio umano, compromettendone gli assetti precostituiti. Si tratta di eventualità perturbanti che sospendono equilibri, scuotono normalità, problematizzano assetti e strutture, lasciando cogliere il potenziale agente perturbante che riposava, talvolta indisturbato, in filigrana.
Ed è proprio intorno a tali direttrici problematiche che Risk Elaboration viene articolandosi, proponendo una serie di approfondimenti che prendono spunto almeno da una doppia urgenza: la prima relativa alla necessità di sondare la valenza euristica di approcci autenticamente pluridisciplinari; la seconda inerente l’opportunità di attivare percorsi interistituzionali.
Con l’evidente intento di superare gli steccati che tante volte ghettizzano sia i saperi – talvolta iperspecialistici – e sia le istituzioni – in molti casi spiccatamente autoreferenziali – Risk Elaboration si muove con il chiaro intento di facilitare lo scambio tra competenze, sensibilità ed esperienze che a titolo vario si muovono su quel piano scivoloso costituito dal bisogno di normalizzazione che sorge quando una certa ordinarietà risulta scossa.
A partire dalla presa d’atto della complessità in gioco, piuttosto che stare alla finestra e attendere che il tutto si normalizzi come per incanto, Risk Elaboration scende in campo con la promozione di un confronto serrato che si origina da un bisogno radicato di intellegibilità. Le reazioni di panico generate oggi da un “evento” sono difficilmente assimilabili al gesto furioso di smarrimento primordiale vissuto in illo tempore. Esse, piuttosto, sono il frutto di una elaborazione complessa in cui risultano preponderanti: 1. le modalità di governance adottate dagli apparati politico-istituzionali; 2. il corpus conoscitivo, esperenziale e mnemonico diffuso; 3. le condizioni del sistema di credenze, di norme e di valori; 4. il livello di fiducia e di coinvolgimento comunitario; 5. la chiarezza della comunicazione e lo spessore intellettuale ed etico dell’opinione pubblica; 6. il grado di operatività tecnica e di organizzazione e coesione sociale.
L’elaborazione del rischio, un vero e proprio work in progress, la sua valutazione, riduzione e mitigazione, avviene ovviamente nei limiti concretamente stabiliti dalla decisionalità politica che assume in maniera sempre più netta il comando tanto dei processi di definizione e di gerarchizzazione dei rischi, quanto le dinamiche di allocazione delle risorse finanziarie per il consolidamento della resilienza.
Tutto questo, inevitabilmente, si svolge nel quadro di una rete assai densa di significati contesi e di conoscenze in itinere, rispetto alla cui configurazione Risk Elaboration è concretamente e prioritariamente in prima linea, grazie alla preziosa collaborazione di quanti intendono porsi dalla parte del fare disinteressato e gratuito, a servizio unicamente di un’opera pubblica di pubblica utilità.
Enzo V. AlliegroDirettore Editoriale
Università di Napoli Federico II
Dipartimento di Scienze Sociali